Si tratta di un approfondimento che, seppure soggetto ad evidenti modifiche progressive secondo l’evoluzione delle conoscenze scientifiche, offre prime risposte generali su varianti e vaccinazione e si sofferma anche sulla efficacia delle attuali misure di sicurezza in presenza di varianti e sul rapporto tra vaccinazione e lavoro.
Riportiamo di seguito una nota di Confindustria nazionale che evidenzia, in sintesi, i contenuti di maggior interesse del documento.
a. La circolazione delle varianti non richiede una modifica delle misure di prevenzione e protezione non farmacologiche (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani) in ambito comunitario e assistenziale.
Non è indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sul distanziamento fisico, sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani; al contrario, si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure. In base alle informazioni e ai documenti istituzionali disponibili è indispensabile rafforzare, attraverso campagne di comunicazione, il rispetto di tutte le misure di controllo non farmacologiche, oltre a evitare gli spazi chiusi e, nel caso di lavoratori, rispettare tutte le ulteriori misure di prevenzione eventualmente prescritte.
Relativamente al distanziamento fisico, non vi sono evidenze scientifiche che dimostrino la necessità di un incremento della distanza di sicurezza a seguito della comparsa delle nuove varianti virali; tuttavia, si ritiene che un metro rimanga la distanza minima da adottare e che sarebbe opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri, laddove possibile e specialmente in tutte le situazioni nelle quali venga rimossa la protezione respiratoria (ad esempio in occasione del consumo di bevande e cibo).
Il documento consente quindi di ritenere che le misure del Protocollo del 14 marzo 2020 risultano ancor oggi adeguate.
b. I lavoratori vaccinati, inclusi gli operatori sanitari, devono mantenere l’uso dei DPI e dei dispositivi medici, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni sul luogo di lavoro.
Tutti i lavoratori, inclusi gli operatori sanitari, devono continuare a utilizzare rigorosamente i DPI, i dispositivi medici prescritti, osservare l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni secondo la valutazione del rischio, indipendentemente dallo stato di vaccinazione, e devono aderire a eventuali programmi di screening dell’infezione. Anche in questo caso, il documento sembra confermare le misure previste nel Protocollo.
c. Se una persona vaccinata con una o due dosi viene identificata come contatto stretto di un caso positivo, bisogna adottare le misure previste per i contatti stretti secondo le definizioni previste dalle Circolari del Ministero della Salute. La persona deve essere considerata un contatto stretto anche se vaccinata, e devono, pertanto, essere adottate tutte le disposizioni prescritte dalle Autorità sanitarie. Si mantiene la deroga alla quarantena per il personale sanitario, con il rispetto delle misure di prevenzione e protezione dell’infezione, fino a un’eventuale positività ai test di monitoraggio per SARS-CoV-2 o alla comparsa di sintomatologia compatibile con COVID-19.
Da osservare che il documento dell’ISS, nel definire il “contatto stretto” ad alto rischio, conferma la circolare n. 18584/2020 del Ministero della salute, richiamata da quella del 31 gennaio 2021, e non risolve i dubbi in merito alla definizione di contatto stretto a basso rischio recata da quest’ultimo documento, che fa riferimento ad un parametro temporale (15 minuti) e non all’uso o meno dei DPI o mascherine chirurgiche.
d. Chi ha avuto il COVID-19 deve comunque vaccinarsi e non è a rischio di avere delle reazioni avverse più frequenti o gravi al vaccino.
La vaccinazione anti-COVID-19 si è dimostrata sicura anche in soggetti con precedente infezione da SARS-CoV-2, e, pertanto, può essere offerta indipendentemente da una pregressa infezione sintomatica o asintomatica da SARS-CoV-2. Ai fini della vaccinazione, non è indicato eseguire test diagnostici per accertare una pregressa infezione. È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro i 6 mesi dalla stessa.
Fanno eccezione i soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, i quali, pur con pregressa infezione da SARS-CoV-2, devono essere vaccinati quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi.
Evidenziamo quindi che, per quanto ad oggi il vaccino non sia generalmente disponibile per la generalità dei lavoratori, a meno che non rientrino nelle categorie prioritarie secondo il piano vaccinale, la nota dell’ISS evidenzia l’utilità della vaccinazione anche per chi ha già avuto il COVID19.
(Fonti: Istituto Superiore di Sanità/Confindustria Brescia)
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