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Ai più è nota semplicemente come “procedura d’infrazione”; tecnicamente, si chiama PDE: procedura per disavanzi eccessivi, e il grande spazio che le stanno dedicando i media, al netto delle opinioni frutto di appartenenza ai vari schieramenti politici, è giustificato dal fatto che l’attivazione di tale procedura non avrebbe precedenti nella storia dell’Unione Europea.

Ma di cosa si tratta? A livello generale, una procedura d’infrazione è uno strumento atto a garantire il rispetto e l’effettività del diritto dell’Unione; la decisione relativa alla sua attuazione è di competenza esclusiva della Commissione Europea.
Nel caso di specie, all’Italia si contesta la violazione dell’articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il quale – tra l’altro – fissa le regole di deficit che ogni paese membro deve rispettare:

  • il deficit di bilancio pubblico non deve superare il 3%, ovvero: a fronte di entrate pari a 100, non possono sussistere uscite superiori a 103; al momento, l’Italia è intorno al 2,5% ma le rassicurazioni del Governo non sembrano convincere Bruxelles;
  • il debito che lo Stato contrae con soggetti terzi (banche, investitori, altri paesi…) non deve superare il 60% del Pil: attualmente siamo oltre il 132%, peggio di noi solo la Grecia al 181%.

L’iter che porta all’attivazione della procedura d’infrazione, e di conseguenza all’applicazione delle sanzioni, è piuttosto lungo e complesso; è bene però sapere ciò che il nostro paese rischia:

  • una “multa” fino ad un massimo dello 0,5% del Pil: nel caso dell’Italia essa si aggirerebbe intorno ai 9 miliardi di euro;
  • il possibile congelamento dei fondi strutturali, ovvero dei finanziamenti erogati dall’Unione agli stati membri per effettuare investimenti volti a favorire la crescita economica e occupazionale. Il blocco di tali fondi comporterebbe una perdita molto importante per le casse dello Stato;
  • infine, l’avvio della procedura di infrazione potrebbe comportare anche l’interruzione dei prestiti concessi dalla Banca europea degli Investimenti. L’Italia potrebbe, inoltre, perdere l’accesso al programma di acquisto di titoli di Stato della Bce, e potrebbe essere obbligata a fornire ulteriori informazioni prima di emettere titoli di Stato.

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