Indagine della Commissione UE: su 399 piattaforme di acquisti online, 148 usano i “Dark Pattern” per indurre gli utenti a prendere decisioni contro i loro interessi o per farli rinunciare alla loro privacy. Tale fenomeno è stato oggetto di un Focus al Privacy Day Forum.
Proliferano sul web numerosi “trucchetti” a cui siti ed app di shopping online ricorrono per spingere i consumatori a fare acquisti frettolosi e senza ragionare sulla reale convenienza che hanno se comprano il prodotto reclamizzato e abbondano anche escamotage studiati per indurre gli utenti a rinunciare alla loro privacy senza dare loro le informazioni in modo trasparente, come richiederebbe invece il GDPR per metterli in grado di decidere consapevolmente se e quando fornire i propri dati personali.
Si chiamano “Dark Pattern” e sono vere e proprie pratiche ingannevoli fatte apposta per far leva sull’emotività delle persone ingenerando in loro un senso di urgenza o il timore di perdere un’occasione irripetibile, oppure viceversa per stancarli o distogliere la loro attenzione per indurli a rinunciare a un’opzione più vantaggiosa.
A fornire un quadro obiettivo di questo fenomeno che mina la fiducia degli utenti, è un’indagine a tappeto svolta dalla Commissione Europea in cui sono stati controllati 399 siti di acquisti online, da cui è emerso che ben 148 di essi (37%) contenevano almeno una pratica manipolativa e ingannevole. E anche sul 26,5% delle app dei siti di shopping online (27 su 102 app esaminate) è stata riscontrata la presenza di Dark Pattern. Nei dettagli, è risultato che 42 dei siti esaminati utilizzavano conti alla rovescia fittizi (10,5%) per indicare presunte scadenze di offerte promozionali, 54 siti orientavano invece i consumatori su determinate scelte di abbonamenti o metodi di consegna più costosi (13,5%), e ben 70 piattaforme (17,5%) occultavano informazioni importanti o le rendevano meno visibili agli utenti.
A mettere in guardia le aziende digitali dall’uso di Dark Pattern ed altre pratiche illecite come quelle di occultare informazioni importanti o presentarle agli utenti in modo non chiaro, è Andrea Chiozzi, Ceo di PrivacyLab:
“Spesso i web designer progettano siti e piattaforme online per ottenere i massimi risultati nel modo più rapido possibile, ma poi in caso di mancato rispetto del GDPR l’azienda si trova esposta suo malgrado a pesanti sanzioni e tra certi trabocchetti diffusi sul web vi sono anche i famigerati cookie banner, molti dei quali sono studiati per non far visualizzare distintamente importanti informazioni sul trattamento dei dati personali e le relative opzioni sul consenso, oppure la funzione per negarlo è addirittura imboscata nella grafica, così che gli utenti sono costretti a proseguire la navigazione senza reale possibilità di scelta. Di recente però i garanti europei hanno avviato una Cookie Banner Taskforce e chi persiste in queste pratiche scorrette adesso rischia grosso”.
Chiozzi, che sul proprio blog fornisce anche una serie di best practices per aiutare gli addetti ai lavori a rispettare la normativa, interverrà al Privacy Day Forum per affrontare proprio i temi della trasparenza sul web e dei Dark Pattern, i quali stanno mettendo a rischio lo sviluppo dell’economia digitale, come osserva Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy:
“Uno dei principali scopi dell’introduzione del GDPR era quello di creare il clima ideale per lo sviluppo del mercato unico digitale, ma a distanza di 5 anni il web è ancora zeppo di trabocchetti che rischiano di causare la perdita di fiducia della maggioranza degli utenti. i dati personali vengono spesso sfruttati in modo scellerato con l’obiettivo di ottenere i massimi profitti senza badare al rispetto delle regole. Se è vero che i dati personali sono stati definiti come il nuovo petrolio, i giacimenti rischiano però di esaurirsi presto. Ora è più che mai urgente adottare un approccio sostenibile della normativa sulla protezione dei dati personali.”
Fonte: Federprivacy