Recovery Fund: c’è l’intesa

Data pubblicazione: 22/07/2020

“Recovery fund”, “Mes”, “Eurobond” e, sul fronte nostrano, “DPCM”, “ordinanza”, e molti altri: sono termini e acronimi con i quali abbiamo imparato a familiarizzare – nostro malgrado – in questi mesi, ma spesso senza sapere bene come funzionino o quali dinamiche politico-economiche (soprattutto a livello europeo) si nascondano dietro questi termini a volte un po’ “esotici”.

Quanto al Recovery fund, l’UE ha compreso la necessità di trovare soluzioni condivise per il recupero economico del blocco ed è proprio in questo contesto che ha trovato terreno fertile la nascita del fondo.
In linea di massima, esso potrebbe essere definito come un mezzo per sostenere l’economia del Vecchio Continente e quella dei singoli Paesi più colpiti dalla crisi del coronavirus.

Fondo di recupero: questo il significato letterale di Recovery Fund, strumento più volte richiesto dall’Italia con l’obiettivo di arginare l’impatto devastante del coronavirus: come il nostro Paese, tutte le principali economie del Vecchio Continente hanno archiviato il primo e il secondo trimestre dell’anno con flessioni imponenti del PIL, il che ha imposto all’UE di trovare e adottare una strategia condivisa per affrontare l’emergenza. Questa, però, non è stata un’impresa facile: le opposizioni tra i Paesi del Nord, come l’Austria e l’Olanda, e quelli del Sud più colpiti (come l’Italia e la Spagna) sono emerse in maniera netta.
Le discussioni maggiori si sono concentrate sul MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, sugli eurobond e anche sul Recovery Fund. I membri settentrionali dell’Unione si sono espressi contro qualsiasi forma di condivisione del debito mentre quelli meridionali si sono mostrati più aperti in tal senso, visto anche lo stato dei loro conti pubblici.

Qualche tempo fa la Francia e, a sorpresa, la Germania hanno avanzato una prima proposta sul fondo di recupero basata esclusivamente su concessioni di denaro a fondo perduto.
Poi, qualche giorno dopo, è arrivato il progetto di Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, al quale ha fatto seguito quello della Commissione europea nel quale sono stati inseriti sia finanziamenti che concessioni a fondo perduto. Infine, con l’arrivo dell’estate ha visto la luce anche la proposta di Charles Michel.
Tutti questi progetti sono stati discussi dal Consiglio europeo di luglio che, dopo intense giornate di discussioni e scontri, ha finalmente raggiunto l’agognato accordo.

Entrando più nello specifico, il Recovery Fund nasce da una vecchia proposta francese elaborata con lo scopo di emettere i Recovery Bond, con garanzia nel bilancio UE: il finanziamento del fondo è stato progettato attraverso la raccolta di liquidità data dall’emissione dei Recovery Bond.
Nel Consiglio europeo è stato elaborato un piano da 750 miliardi di euro così suddivisi:

  • 390 miliardi di sovvenzioni;
  • 360 miliardi di prestiti.

Le risorse saranno reperite grazie all’emissione di debito garantito dall’UE e arriveranno soltanto nel primo trimestre del 2021, ma potranno essere utilizzate anche retroattivamente, per coprire le spese sostenute da febbraio 2020 in poi.

Dal punto di vista politico dunque, potremmo definire il Recovery Fund un piano che ha tentato di conciliare posizioni particolarmente distanti.

Il prossimo autunno ogni Paese presenterà il proprio piano nazionale di riforme 2021-2023 al quale sarà subordinata la ricezione delle risorse del Recovery Fund.
I piani verranno valutati dalla Commissione europea entro due mesi dalla presentazione degli stessi. Tale valutazione dovrà essere approvata dal Consiglio europeo che si esprimerà a maggioranza qualificata su proposta dell’esecutivo comunitario. Ciò avverrà tramite un atto di esecuzione che lo stesso Consiglio adotterà entro quattro settimane dalla proposta. La Commissione richiederà al comitato economico e finanziario un parere sul conseguimento dei target, sia intermedi che finali.

Se non verrà sollevata alcuna obiezione la Commissione deciderà di approvare i pagamenti.

In virtù di quanto previsto dall’accordo sul Recovery Fund, l’Italia otterrà 208,8 miliardi di euro così suddivisi:

  • prestiti: 127,4 miliardi (rispetto ai 90,9 proposti dalla Commissione UE);
  • trasferimenti: 81,4 miliardi (poco meno rispetto ai 90 iniziali).

Roma, assieme a Madrid, sarà la maggiore beneficiaria del fondo.

(Fonte: money.it)