Il “boomerang” della tecnologia senza competenze: il ritardo dell’Italia nella formazione 4.0

Data pubblicazione: 19/02/2019

La rivoluzione tecnologica 4.0, incentivata dalle agevolazioni messe in campo dagli ultimi governi per premiare gli investimenti innovativi, ha senza dubbio dato grande spinta al rinnovamento delle imprese italiane, che si sono dotate di macchinari e impianti all’avanguardia ma che spesso non hanno provveduto in maniera adeguata alla formazione di coloro che saranno addetti all’utilizzo di tali attrezzature.

E’ quanto emerge da uno studio realizzato da Ernst & Young in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma: la mancanza di competenze necessarie ad accogliere la trasformazione tecnologica potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio, facendo sì che robotica e high-tech prendano il posto della manodopera specializzata e comportino una perdita di posti di lavoro.

A livello globale è in corso una trasformazione tecnologica che sta toccando tutte le realtà produttive, e solo investendo in formazione il mondo del lavoro sarà in grado di bilanciare il cambiamento e di colmare il mismatch: si stima che, in cinque anni, il 60% delle competenze oggi ritenute necessarie saranno superate e dovranno essere modificate. Questo è vero a maggior ragione per le PMI, che spesso a differenza delle loro “sorelle maggiori” non hanno investito in formazione in maniera strutturata.
L’Italia, in particolare, rimane sotto la media UE per quanto riguarda la percentuale di adulti che partecipano ad attività di apprendimento permanente. Si stima che, da qui a cinque anni, all’impresa italiana serviranno 280mila super tecnici specializzati nel settore dell’ingegneria, ma il trend attuale sembra suggerire che questo fabbisogno resterà in gran parte insoddisfatto.

Cosa dovranno fare le imprese per invertire la tendenza? Lo studio di EY non ha dubbi: le ricette saranno smart working e formazione continua; il primo per stimolare il lavoratore a concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi colmando le proprie lacune formative; la seconda per garantire un aggiornamento costante lungo tutta la vita professionale del lavoratore.

(Fonte: Il Sole 24 ore)